Le origini di Bianco si fanno risalire al periodo che va dalla fine del IX agli inizi del X secolo; esso sorgeva sopra una collina cretacea ed era circondato da mura su cui si aprivano tre porte: una a oriente, una a occidente e una a mezzogiorno. Al centro del paese vi era la “piazza principàle” in cui sorgeva la Chiesa Arcipretale: “Archipresbyteralis Ecclesia huius Terrae Blanci sub titulo omnium Sanctorum (…) sita et posita est intus dictam terram in medio plateae” (la Chiesa Arcipretale di questa Terra del Bianco, sotto il titolo di “Tutti i Santi”, è situata nel mezzo della piazza del paese). (1) Essa possedeva vari benefici con l’onere delle messe settimanali e aveva diversi altari tra cui quello del SS. Sacramento, del SS. Crocifisso con il beneficio della famiglia Saporito, quello del Carmine che fu eretto e dotato da Prassede d’Andrea con l’onere di due messe settimanali, passato poi alla famiglia Medici e quello di San Gregorio di patronato Albanese con l’onere di due messe settimanali. La tranquilla vita del paese fu turbata il 5 febbraio del 1783, quando un violentissimo terremoto sconvolse il paese distruggendo completamente la frazione Catamotta e danneggiando gravemente le altre zone. A causa della situazione precaria, “dietro sovrana disposizione”, fu deciso il trasferimento della popolazione alla marina, “nell’amenissimo suolo di Pigliano già da Regi Ingegneri a ciò prescelto”. Qui, assieme alla popolazione, in virtù di un “Real Dispaccio”, il 5 luglio del 1788 “si trasferì con ogn’altro suo privilegio l’Arcipretale Chiesa, l’Amministrazione Comunale e la Giudicatura”. Secondo quanto prescriveva lo stesso Dispaccio fu ordinata la costruzione della nuova Chiesa parrocchiale (che conserverà il titolo di “Tutti i Santi”), a carico della Cassa Sacra (2) da cui furono subito erogati al cassiere D. Francesco Strati, cinquecento ducati coi quali si gettarono le fondamenta e si iniziò la muratura che però, non superò i quattro palmi (circa un metro) fuori terra. Per proseguire i lavori erano ancora necessari dei fondi e già si era ottenuto il mandato di “altri ducati 597, grani 58 e cavalli 4 che non venne pagato per le caville degli impiegati di quei tempi”. Pertanto la costruzione andò avanti molto lentamente oltre che per la mancanza di fondi anche perchè sopraggiunse un lungo periodo di calamità in seguito all’occupazione militare francese. Ristabilita la pace, le autorità locali si misero subito in moto per reperire i mezzi finanziari onde portare a compimento la costruzione della Chiesa parrocchiale; infatti, a tale scopo, il 10 agosto 1819 il Sindaco Giuseppe Marchese e i Decurioni (oggi diremmo gli Assessori comunali) Vincenzo Muscoli, Filippo A. Ruffo, Francesco Medici, Antonio Todarello, Benedetto Polizzi, Tommaso Zarzaca e Filippo Ielasi inoltrarono al Re una petizione con cui fecero presente la necessità di dare alla popolazione un luogo sacro dove riunirsi in preghiera per rimediare al “detrimento che soffre il Divin Culto officiandosi in una ruinante capanna di zolle fatta dalla pietà dei fedeli” e si confidava, pertanto, nella sua pietà e religiosità per ottenere le somme necessarie onde ultimare i lavori della nuova Chiesa. Non sappiamo di sicuro se questa richiesta sia stata accolta, certo è che i lavori proseguirono, ma non speditamente se nel 1838, secondo quanto risulta da una perizia effettuata dall’ingegnere Calabrò di Reggio Calabria, mancavano ancora 24 palmi (6 metri circa) in altezza per concludere la muratura. Con un comunicato della Real Segreteria di Stato per gli Affari Ecclesiastici, datato 30 maggio 1838, furono erogati 600 ducati in acconto dei 1200 accordati da Sua Maestà per “portarsi a compimento la fabbrica della Chiesa di Bianco”; a questi si aggiunsero, probabilmente, altre donazioni, perchè risulta che i lavori andarono avanti ininterrottamente dal settembre 1838 fino al gennaio 1840, data in cui la costruzione, pare, sia stata ultimata. La Chiesa, da quello che si può stabilire dalle poche foto tramandate e dal rilievo architettonico redatto dall’ingegner Foderaro nel 1928, in occasione di un tentativo di ristrutturazione, evidenziava alcune caratteristiche dello stile barocco, anche se con un chiaro ritardo stilistico. Si presentava, infatti, a navata unica conclusa da un’abside semicircolare e la facciata principale esterna risultava avere un andamento leggermente convesso ed essere delimitata da due campanili laterali disposti simmetricamente. Internamente la Chiesa aveva una lunghezza complessiva di metri 26,50 per una larghezza di metri 10,50, l’altezza della navata era di metri 12, mentre quella riferita alla facciata principale esterna era di metri 15. In seguito ai rilievi effettuati dall’ingegner Foderaro emersero le precarie condizioni strutturali dell’edificio per cui si ritenne “…indispensabile progettare la ricostruzione anzichè la riparazione della Chiesa esistente, in quanto che solo le opere necessarie… porterebbero un tale importo che non varrebbe la pena, alla fine, di avere un edificio rabberciato, con una spesa non molto distante da quella della ricostruzione… Stando così le cose, si optò, quindi, per la demolizione (avvenuta nel 1929) e si affidò allo stesso ingegner Foderaro il progetto di ricostruzione. Secondo quanto asserisce il progettista, inizialmente, la Chiesa doveva essere di ispirazione romanica e questo era riscontrabile sia dalla sua posizione rispetto alla strada di accesso, sia dallo slancio del campanile e della cupola, nonchè dalle alte e strette arcate della facciata, elementi questi, previsti dal progetto originario e che, in fase di esecuzione, quasi sicuramente per problemi finanziari, furono, alcuni sensibilmente ridimensionati, altri sostituiti. Oggi, la facciata principale, seguendo la variante del progetto, presenta come decorazione due statue in cemento raffiguranti i santi Pietro e Paolo ed un rosone scandito da statuette e colonnine tornite. Dalla facciata avanza un portico con tre arcate da cui si accede all’ingresso principale e anche il portico è ornato da statue in cemento che raffigurano i quattro Evangelisti con i rispettivi simboli. L’impianto architettonico è a croce latina con navata unica, transetto sormontato da cupola a base quadrata e tre absidi di forma semi-ottagonale, una centrale e due laterali a conclusione del transetto. L’abside centrale presenta due aperture laterali che conducono una (quella a destra) alla sacrestia, costruita contemporaneamente alla Chiesa, l’altra alla casa canonica, un edificio a due piani di costruzione successiva. La nudità della navata viene interrotta dalle statue dei Santi realizzate in gesso, opera dello scultore Giuseppe Lococo da Maropati (RC), che sono accolte in basamenti ai piedi degli arconi e negli intradossi degli archi stessi. L’immensa luminosità che pervade l’interno è dovuta alle alte finestre che ritroviamo con passo regolare sulle pareti della navata e su quelle delle tre absidi.Ma, passiamo ora, a raccontare la lunga storia (circa 18 anni) della ricostruzione: il vecchio edificio, come abbiamo detto precedentemente, fu demolito nel 1929 ma, prima che venissero iniziati i lavori della nuova Chiesa, dovettero trascorrere almeno due anni se, nel luglio del 1931, l’Arciprete don Vincenzo Scordo indirizzava all’allora Vescovo, Mons. G. Battista Chiappe, una lettera del seguente tenore: “Eccellenza, questo popolo, pur non avendo la Chiesa matrice non può rinunziare alla tradizionale festa della Vergine SS. di Pugliano con la solenne ed attraente scesa del 15 agosto”, pertanto chiedeva di “far sorgere nel suolo della Chiesa demolita un padiglione per far entrare il quadro e il posto per l’altare della S.Messa il 14 e il 15 (per chi non lo sapesse, il quadro della Madonna di Pugliano, la mattina del 14 agosto viene portato in processione dal Santuario alla Chiesa matrice, dove rimane fino alla sera del 15). Per cui, molto probabilmente, i lavori, che erano stati affidati alla ditta Benedetti da Rocca di Mezzo (Aq), presero avvio tra la fine del 1931 e gli inizi del 1932 perchè, in un documento del 22 luglio 1933, l’ing. progettista forniva agli impresari alcune delucidazioni su “cosa dovevano fare per il telaio di sostegno alle mezze capriate di copertura del pronao”, il che ci fa presumere che, a questa data, i lavori erano già bene avviati. Si proseguì, pertanto, fino alla copertura dell’intero edificio ma, a questo punto, la costruzione fu interrotta per vari motivi tra cui anche il sopraggiungere della guerra italo- etiopica e della seconda guerra mondiale. Durante tale periodo le funzioni religiose si svolsero prima nella chiesetta patronale di San Francesco da Paola poi, essendo questa pericolante, ci si trasferì in un locale privato sito sulla via Garibaldi e, infine, nel santuario di Pugliano che, necessitando di interventi, era stato, nel frattempo, restaurato. Nell’anno 1946 venne nominato economo della Parrocchia “Tutti i Santi”, con diritto alla successione, il Sac. Don Pasqualino Palamara, il quale si è subito attivato per riprendere i lavori. A tale scopo costituì un comitato formato dai signori: cav. Filippo Salvadori, dott. Luigi Muscoli, cav. Nicola Marchese, sig. Vincenzo Ielasi, sig. Giuseppe Cuzzocrea e lo sottopose all’approvazione del Vescovo Mons. G. Battista Chiappe il quale, non solo lo approvò, ma elogiò l’iniziativa definendola “opera così santa e così necessaria Il popolo bianchese, come sempre, si dimostrò molto generoso, ma i fondi raccolti non furono sufficienti per completare tutti i lavori necessari. Tuttavia il 19 gennaio 1947 la Chiesa fu ugualmente aperta al culto e le funzioni religiose si svolsero con regolarità anche se l’altare era allestito in modo provvisorio. Nell’ottobre dello stesso anno, grazie a un contributo di oltre mille dollari inviato dai compaesani emigrati all’estero, furono completati la pavimentazione e il presbiterio con la balaustra, mentre l’altare in marmo, costruito dalla ditta Pellegrino di Reggio Calabria, è stato offerto dal cav. Francesco Medici. Con il trascorrere degli anni la struttura, com’è naturale, necessitava di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria per cui periodicamente i parroci pro- tempore dovevano farsene carico. Don Palamara, parroco fino al 1979, si è occupato del restauro della cupola, che cominciava a dare seri problemi a causa delle infiltrazioni di acqua piovana, optando per un intervento di ricopertura con fogli di rame che, però, non resistettero molto a lungo alle intemperie; infatti, dopo pochi anni, anche il nuovo Parroco, p.Emanuele Tognazza, si è dovuto occupare dello stesso problema che è stato risolto sostituendo i fogli di rame con dei pannelli in lamiera grecata. Questo parroco, a onor del vero, si dedicò principalmente alla ristrutturazione del Santuario di Pugliano che diceva di amare più degli occhi suoi, ma non trascurò la Chiesa Matrice la quale, anche con il contributo dei fedeli, fu dotata di nuovi banchi e delle vetrate decorate; ha provveduto al restauro delle statue dei santi in gesso che si trovano all’interno e, onde eliminare, diceva lui, quella barriera che, pur simbolicamente, veniva a stabilirsi tra il presbiterio e i fedeli, ha fatto rimuovere la balaustra in marmo. Nel mese di settembre del 1991 è stato nominato parroco, p.Achille Valsecchi della Congregazione dei Monfortani. Anche lui si occupò del restauro della Chiesa. I lavori da eseguire, secondo il progetto redatto dai fratelli Misuraca, ing. Ugo e arch. Vincenzo, erano parecchi, sia all’interno che all’esterno, se si volevano eliminare tutti gli inconvenienti che avrebbero potuto danneggiare la struttura, primo fra tutti l’umidità ascendente dal terreno che, sistematicamene, rovinava l’intonaco. Naturalmente, per realizzare questi interventi erano necessarie delle somme piuttosto consistenti che non era tanto facile reperire; tuttavia nè il Parroco nè i suoi collaboratori si persero di coraggio e, confidando nell’aiuto della Provvidenza, si misero all’opera; tra tutte le iniziative messe in atto per recuperare dei fondi, la più importante è stata quella della signora Carmelina Pratò che è riuscita, con una sottoscrizione pubblica, a mettere insieme una somma tale da essere sufficiente all’acquisto dei marmi per la pavimentazione. Inoltre, tramite il Comune, si è ottenuto qualche finanziamento anche da parte della Regione per cui si sono potuti iniziare e realizzare la maggior parte dei lavori progettati: messa in opera del pavimento in marmo (gentilmente offerta dai fratelli Giovanni Filippo e Michele Naimo), rifacimento dell’intonaco esterno, riparazione della cupola (intervento parzialmente finanziato dalla nostra Curia Vescovile), sistemazione del soffitto e delle vetrate, installazione delle controporte decorate con pannelli intagliati raffiguranti scene dell’Antico e del Nuovo Testamento nonchè momenti di azione liturgica (i pannelli sono opera del nostro giovane concittadino Giuseppe Mesiti) e nuovo impianto di illuminazione. Con i marmi della balaustra che p.Emanuele aveva fatto rimuovere, su idea di p.Achille, sono stati realizzati la mensa per la celebrazione Eucaristica e parte dell’ambone, mentre tra il presbiterio e l’abside del lato destro è stato adeguatamente collocato il nuovo fonte battesimale realizzato utilizzando un’antica acquasantiera in marmo che, quasi sicuramente, proviene da Bianco vecchio e potrebbe essere un dono dell’allora sindaco alla Parrocchia perchè, sulla parte anteriore della base, porta scolpito un cavallo (stemma del comune di Bianco) e, nella parte posteriore, la seguente scritta: “D. Francesco Strati Sindaco 1756”. Sono opera di Riccardo Scotti di Bergamo, i mosaici che ornano la mensa e l’ambone e i due quadri, sempre a mosaico, collocati ai lati del presbiterio e che rappresentano l’uno il battesimo di Cristo e l’altro il mandato di Gesù agli Apostoli: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo,”…., (Mt 28,19). Anche l’esterno è stato oggetto di intervento e ora si presenta tutto rimesso a nuovo: il sagrato è stato pavimentato con mattoncini rettangolari, con pietre in porfido e con lastre in “pietra di Lazzàro” ed è illuminato da due artistici lampioni installati a opera del Comune. E’ stata pure risistemata la gradinata di accesso, mentre la porta centrale e le statue in cemento che decorano la facciata principale sono state accuratamente ripulite; il campanile, restaurato però solamente all’esterno, è stato dotato di un bel concerto di sette campane le quali, oltre a richiamare i fedeli alle funzioni religiose, scandiscono le ore e annunziano il sorgere e il tramontare del giorno con il suono dell’Ave Maria di Lourdes. Precisiamo che tre campane appartenevano già alla Chiesa matrice e la più grande di queste proviene certamente dalla Chiesa Arcipretale del paese vecchio in quanto porta la data del 1702, come si legge nell’iscrizione che vi è stampata e che qui di seguito riportiamo integralmente: “A. D. MDCCII Sindico Francisco Strati Universitatis sumpturus Bianci Francisco Drianò et Ludovico XPNO electis”, èimpresso anche lo stemma del Comune; delle rimanenti quattro, due sono state rilevate dalla Chiesa di S. Marina, le altre due sono nuove e, come si legge in una di esse, sono: “dono di Emerita – Laura – Valerio alla Parrocchia di Tutti i Santi ricordando il fratello Sacerdote P. Achille Valsecchi Parroco A destra della scalinata, poi, sempre su idea di P. Achille, si è ricavato uno spazio che è stato pavimentato a mosaico (disegno e messa in opera a cura di Modestino Alessi e Totò Lascala), dove è stata collocata, per la venerazione dei fedeli, una artistica statua della Madonna col Bambino, al cui acquisto hanno contribuito, con i loro piccoli risparmi, i bambini di prima comunione. Ci sembra doveroso ricordare che tra i fedeli benefattori i quali hanno contribuito a sostenere le spese per tutti i lavori realizzati, si sono distinti per generosità: una signora residente a Lecco e due signore di Bianco che preferiscono rimanere nell’anonimato nonchè il compianto prof. Antonio Versace il quale, lo ricordiamo per inciso, ha finanziato pure il restauro interno effettuato nella Chiesa di S. Marina del rione Zoparto.